Teatro

Il teatro secondo Vucciria Teatro.

Il teatro secondo Vucciria Teatro.

Sono passati solo sei mesi da quando abbiamo recensito Io, mai niente con nessuno avevo fatto  di Joele Anastasi per il suo debutto romano al teatro Spazio Uno.

Uno spettacolo che già nella sua prima versione di monologo è stato insignito di diversi premi*, che hanno indotto Anastasi a tornare sul testo proponendone un nuovo allestimento a tre voci nel quale al giovane autore, nonché interprete e regista, si sono affiancati Federica Carruba Toscano ed Enrico Sortino. Nasce così la compagnia Vuccirìa Teatro  diretta da Anastasi e Sortino che opera tra la Sicilia e Roma.

Tre voci, tre personaggi, tre storie.

Giovanni,  un  giovane  naïf ed  effeminato  che  scopre  il  sesso  e forse l'amore con giovane uomo, a 19 anni.

Sua cugina Rosaria che sogna di riscattarsi da una origine regionale che vive come condizione  di  miseria,  morale  prima ancora  che  materiale.

Giuseppe  un  giovane  uomo  attratto  dagli  uomini  ai  quali  si concede solo fisicamente.

Scritto  in  una  lingua  stupenda,  in  perfetto  equilibrio  tra  catanese  e  italiano,  Anastasi,  che  in  scena  interpreta  Giovanni, sviluppa il racconto facendolo cominciare dal momento culminante della storia, quando Giuseppe chiama Giovanni  sotto casa intimandogli  di  scendere,  arrabbiato,  per poi  tornare  alle  origini  di  quei fatti  con  una  analessi  elegante  che dà  ai racconti-monologhi dei tre personaggi la forza della testimonianza.

Scopriamo così biografie e ascendenze dei tre. L'infanzia aspra e selvaggia fatta di soprusi e prepotenze, dove il sesso è per  Giuseppe strumento  di  punizione,  per  Rosaria  un  illuso  mezzo  di  riscatto  e  per Giovanni  la  scoperta  del  proprio orientamento sessuale.

La  forza  dei  personaggi  di  Anastasi sta  nella  solidità  della  lingua  con cui  sono  scritti,  nel  respiro  letterario con  cui  sono concepiti, nella icasticità con cui si raccontano e, naturalmente, sta anche nella bravura immensa dei tre interpreti.

Federica  Carruba  Toscano  è  una  forza della  natura.  Muliebre,  dai  capelli lunghissimi,  sa  usare  il  proprio  corpo con  una consapevolezza  attoriale  sorprendente, come  quando  si  veste  della  propria nudità  in  un  contro-scena  durante  uno monologo di Giovanni, passando dall'ilarità alla disperazione (una profferta di sesso si trasforma in uno sturo collettivo) con una padronanza dei registri recitativi solida e sicura.

Anastasi  ci  regala  un  Giovanni  disarmante, naïf ed  effeminato  più  per  candore che  per  una  inconscia  provocazione, all'inizio disturbante  nella  sua  sprovvedutezza,   che  si  teme  affettata,  ma  che  presto ce  lo  fa  amare  perché  Anastasi costruisce il suo personaggio senza ricorre ad alcun cliché, portando in scena una vulnerabilità schietta e indifesa, che è propria di Giovanni e non dell'omosessuale effeminato.

Enrico Sortino sa esplorare la disperazione tenera dell'uomo innamorato che solo dinanzi la malattia e la paura della morte riesce ad affrontare i propri sentimenti, nel momento in cui crede che non possano più avere un seguito.

Sexy quando seduce  Giovanni,  disgustoso  quando racconta  di  come  nasconde  la  propria bisessualità  tramite un  matrimonio  di facciata, Sortino si mette talmente in gioco con il personaggio che interpreta che quando il circolo narrativo si chiude e  torniamo  all'inizio  della storia,  cioè  alla  sua  conclusione,  le lacrime  e  il  muco  che  gli  vediamo produrre  gli  sgorgano dall'anima e non dal corpo.

Dopo quel primo debutto romano Io, mai niente con nessuno avevo fatto ha cominciato una tournée che lo ha visto in scena a Catania e a Palermo, e poi di nuovo a Roma per il Fringe Festival dove ha vinto oltre al premio come Miglior spettacolo (che li porterà al Fringe di New York nell'estate del 2014) anche quello per la Miglior Drammaturgia e quello per il Miglior Attore a Enrico Sortino.

Nel frattempo lo spettacolo ha trovato una distribuzione (la Razmataz Spettacoli) Sortino, Anastasi e Carruba Toscano Toscano sono entrati nel collettivo Drao, e ora tornano a Roma al teatro che li ha visti debuttare nella Capitale.

Sono andato a intervistare tutti e tre per parlare dei loro personaggi e dello spettacolo. Ne è uscita una intervista a tutto campo dove Enrico, Joele e Federica hanno dedicato un pensiero al teatro, al ruolo delle istituzioni, al tipo di recitazione, alla vita di interprete e non, e alla loro terra, la Sicilia.

Ve la propongo in una trascrizione nella quale ho voluto mantenere il registro colloquiale e la sintassi dell'oralità per non modificare la spontaneità e immediatezza del loro pensiero.

A che punto state con lo spettacolo?

Enrico Sortino
Non è stata una tournée continuativa, abbiamo fatto diverse tappe in diverse città e l'energia dello spettacolo ci ha stravolti e ci ha anche artisticamente cambiato un po' la vita.

In questo periodo storico in cui tutto muore, ti rendi conto che le cose ben fatte evidentemente vengono premiate. Forse è anche il prodotto di circolo fortuito. Il caso. Tutto ha funzionato, anche le persone che ci hanno visto, che poi ci hanno aiutato con la distribuzione, con la produzione.

Le cose che funzionano continueranno a funzionare.

Gente che di solito non va mai a teatro e che è venuta per conoscerci ci ha detto ma se questo è il teatro evviva!

Forse stiamo andando verso un nuovo modo di fare teatro. O uno molto vecchio. Cioè del teatro che ti prende allo stomaco. Anche per i prossimi lavoro di Vucciria Battuage e L'amore è un'altra (che sto scrivendo io) sono spettacoli che prendono la pancia del pubblico e fanno indagare su un'altra parte di noi, quella non manifestata.

Ti fanno lasciare la sala dicendo perché no? Ti fanno giustificare le cose negative dell'essere umano. Giustificarle perché in ogni cosa c'è una manifestazione, c'è un perché. 

Succede di rado nel teatro nazionale lo vedi più nelle piccole compagnie.
Quando l'attore diventa un altro. Quando interpreta veramente un'altra cosa al di fuori di lui.

Nel periodo storico in cui stiamo vivendo gli attori interpretano se stessi nei panni di un personaggio. Si chiedono cioè come io attore interpreterei questo personaggio? Invece per noi significa calare le nostre anime le nostre emozioni dentro la prigione di una altro corpo, di un'altra testa, di un'altra anima e lasciarla vivere.

Ecco perché può subentrare un discorso sulla ricerca, perché cambia tutto.
Cambia il baricentro di ognuno di noi, cambia l'energia, cambiano la parola e il pensiero.

Il nostro spettacolo parla di omosessualità, malattia, violenza contro le donne ma,  come mostreremo nei prossimi spettacoli, speriamo, si può parlare di qualunque cosa e prendere allo stomaco perché è come guardare a una cosa da un altro punto di vista, da quello insolito con cui siamo soliti guardare le cose...

Joele Anastasi 
E' anche un approccio alla creazione secondo me, nel senso che noi ci abbiamo proprio fondato il nostro lavoro. In questo caso c'è molto dell'immaginario siculo e quindi proprio nel mordente che c'è dietro questo immaginario, queste dinamiche, che sono molto forti, molto di materia. E quindi molto aggressive, grandi mastodontiche, quindi a livello di creazione abbiamo lavorato su questo... su questo animale: utilizzare l'attore con una chiave, che a noi piace, molto esasperante.

Quando ho scritto il testo non mi ero messo dei limiti di scrittura però avevo già pensato a loro come interpreti dei personaggi. E ho lavorato molto conoscendo già la generosità di Enrico e Federica per i loro personaggi...

Secondo voi gli enti locali e lo Stato come dovrebbero intervenire per favorire
queste sinergie?

J.A. Secondo me la cosa principale che manca veramente, è investire negli spazi per le nuove drammaturgie.

E.S. Ma come potrebbero però ragazzi? Siamo tanti...

J.A. No, potrebbero invece. Manca una istituzione che porti avanti le nuove drammaturgie. Cioè un tentativo di apportare qualcosa di nuovo al teatro. Per
lo più le nuove produzioni vertono su testi già esistenti, che va benissimo per
carità...

E.S. Come dicevo prima quando parlavo di un metodo nuovo che stiamo facendo
senza accorgercene è proprio questo...


Come evitare che l'offerta di fondi crei delle compagnie che prima non c'erano
nate per raccogliere quei fondi?
Come fare in modo che i soldi Cee per esempio arrivino alle compagnie che già ci sono e ne hanno bisogno?


J.A. Noi prima di aprile (2013) non esistevamo...

E.S. Il problema non è cosa [lo Stato] dovrebbe fare ma come dovrebbe fare. Perché
noi siamo tantissimi.

Federica Carruba Toscano
Credo che ci sia un problema di fondo.
Quando una cosa nasce nuova c'è smepre il rischio che il fatto che ci siano
soldi dia vita a cose che non sono niente e che nascono solo perché ci sono i
soldi.

Ma quando una realtà indipendente nasce a discapito della congiuntura
allora a quel punto l'attenzione dovrebbe far scattare dei fondi.

Quando uno ha fatto il primo sforzo, la prima nascita che è la parte più dolorosa da soli, a quel punto ci vuole un intervento che mostra anche intelligenza da parte di chi
ha le possibilità.

E.S. Il problema è che chi ha le possibilità e gestisce i fondi spesso non
ne ha le competenze...

F.C.T. ...e tende a sostenere il già esistente senza prendersi rischi

E.S. ...per tacere delle amicizie varie.

J.A. Dipende se si concepisce il teatro come una macchina economica e non
come una macchina di cultura. Il problema sta lì, perché, chiaramente, da imprenditore, favorisco i prodotti che possono darmi profitto. Però la cultura non è profitto in senso economico.

E.S. Non dobbiamo dimenticarci che viviamo in una società che è guidata
dall'ideologia del commercio e del profitto...

J.A. Secondo me dobbiamo trovare un giusto compromesso tra fare una ricerca
attiva, prendersi il tempo che ci vuole a creare un prodotto di qualità, e fare anche lo sforzo di entrare, anche da lontano, in questo processo produttivo capitalistico e trovare le vie di accesso per esistere, a discapito di questo processo ma anche a favore di questo processo. Non so se mi spiego, con un piede dentro e un piede fuori. Per chi appunto inizia da zero...

(rivolgendomi a Federica) Un aspetto che mi ha colpito del tuo personaggio è questa sessualità così liberamente vissuta che però poi in un certo qual modo ti si ritorce contro. Volevo chiederti come eri riuscita ad entrare dentro questo personaggio e cosa ne pensi invece tu, come donna prima ancora che come attrice, di Rosaria.  Perché parlando adesso con te con te come persona e come attrice la distanza tra l'attrice Federica e il personaggio Rosaria è evidentissima e penso che anche questa distanza contribuisca a dare spessore al tuo personaggio...

C.T. secondo me questa cosa non riguarda il personaggio in particolare ma il teatro in generale e non solo lo  specifico dell'opera che abbiamo messo in scena. Il punto principale quando approcci come drammaturgo, come regista o come attore un'opera e dei personaggi è evitare assolutamente l'idea, che io invece oggi vedo tantissimo, di chiedersi cosa questa opera deve provocare nel pubblico, senza cercare di volerlo stupire, o di essere  originali inducendo il pubblico  a pensare questo piuttosto che quest'altro. Una cosa da evitare perché così come è innaturale farlo nella vita, perché nella vita noi siamo sempre qualcosa, lo siamo a prescindere...

J.A. ...o forse è innaturale nella vita e non deve essere naturale a teatro

F.C.T.  ...parlo dell'esigenza di comunicare. Ci cono molte opere che sono magari anche carine ma che non hanno l'esigenza di essere scritte e vengono scritte per ottenere uno effetto sul pubblico. Invece non sforzarsi a voler cercare di raggiungere un effetto è questo quello quello che abbiamo fatto noi.

Ed è il motivo per cui in realtà un effetto sul pubblico è stato poi suscitato.
Così è anche per il mio personaggio.

Quando ho approcciato per la prima volta Rosaria, quando ho letto il testo e ho capito cosa Joele volesse da questo personaggio, al primo impatto l'ho giudicato, come facciamo tutti, e ho avuto delle resistenze perché la mia persona entrava in collisione col personaggio per delle mie resistenze, anche rispetto la nudità. Poi mi son detta ma realmente è importane rispetto al testo quello che tu pensi di stessa? Quello che tu pensi degli altri, quello che tu pensi che gli altri pensino di te?

E' più importante l'esigenza che ho io o l'esigenza che esce prorompente dal testo bellissimo, bellissimo, lo ribadisco ogni volta,  che ha scritto Joele esigenza  che io avverto ogni volta che in scena interpreto Rosaria?

E questa esigenza, quella del testo dico,  è nettamente superiore, nettamente, su tutti i giudizi che io posso avere o che gli altri possono avere.

Motivo per cui la distanza tra me e il personaggio è evidente e deve continuare ad esistere ma non importa. Io non sono di quelle attrici che ci tiene a far notare quanto la propria persona sia distante dal personaggio che interpreta. A nessuno importa come sono io. Io non sono interessante nella misura in cui lo è il personaggio.

E.S. viene prima di te...

F.C.T. Il personaggio in quel momento è la storia in sé per sé, perché è la storia che mi sta cuore. Perché Joele ha toccato delle dinamiche che io ho visto tante volte con i miei occhi ma in cui non ero mai penetrata prima, per fortuna non mi hanno riguardata direttamente, ma io mi rendo conto di quanto questa verità - e dico verità perché è vero - tocca una parte intima e profonda che noi abbiamo trattato con innocenza ma che, una volta messa in scena, fa scattare nel pubblico delle reazioni impressionanti.

E. S. Non a caso la città  di Palermo ha reagito in maniera un po' ipocrita. Ha  applaudito, però è come se avesse detto questa storia non mi appartiene. Dicevano bello, non potevano non dire bello però erano come distanti.

F.C.T.  Per me è stata una conquista pazzesca perché tutti prendevano le distanze e dicevano mi sembra un racconto esagerato non mi è mai successa una cosa del genere non l'ho mai sentita. Invece le persone che dicevano questa cosa io le conosco e so perfettamente - ma questo è tipico - che nella famiglia ci sono delle dinamiche del genere. Questa cosa per me è stata una doppia conquista perché mi sono detta: lo vedi quando vai a toccare vai a toccare non c'è niente da fare!

Vi aspettavate delle reazioni così positive dal pubblico?

J.A. E chi se le aspettava? A vedere tutta quella risposta da subito ci è arrivata una energia...

E.S. ...quegli applausi infiniti che ci accolgono ogni volta in tutte lecittà... Infatti io dico sempre a loro ragà non ci abituiamo a questa meraviglia perché non succede mai non succede sempre soprattutto.

A me la cosa che mi ha stupito di più è successa a Palermo durante la sua scena dello stupro di Rosaria. Una signora molto robusta che credo che avesse più di 60 anni certamente.
Ce l'avevo proprio sotto e io resto in blocco durante quella scena così il mio sguardo si era posato su di lei non vedo la scena ma mi ero fissato su di lei. Questa signora inizialmente si copre gli occhi poi inizia a piangere comincia a tremare tutta, si alza e se ne va. Io creo che avesse subito una violenza. L'ho vista io se n'è scappata dal teatro ha fatto proprio quel gesto di copertura e io che dovevo rimanere immobile non l'ho seguita con gli occhi ho visto solo la scia che andava via...

Questa è la cosa che mi segnato di più in tutte le date, al teatro Monte Vergini di Palermo.


Uno spazio bellissimo...

J.A. Sì, uno spazio molto importante e quindi molto fagocitante.

Io mi volevo ricollegare invece a una cosa che ha detto Federica che secondo
me è imporrante. Quando ha detto che bisogna smettere di pensare a voler suscitare per forza qualcosa nel pubblico.

Io credo che sia il momento giusto di lavorare un po' sull'abbandono.
Abbandono nel senso di abbandonare i propri confini, il fatto di avere dei limiti...

Ma questo funziona solo con delle persone di una certa caratura come voi
altrimenti rischia di scare nei soliti clichè...


J.A. E' un atto molto delicato e il rischio c'è ma se in quell'abbandono riesci a entrare in una dimensione di autenticità... Il nostro percorso di creazione non è stato difficile e quindi come dici tu la faccio facile, ma non mi sento privilegiato.Credo che lo si possa fare. Che lo si debba fare.

E.S. Joele si rivede i video che facciamo delle repliche. Io mi sono sempre rifiutato di vedermi non mi interessa vedermi perché non mi riconosco in quel personaggio per niente. Quando ho letto il mio personaggio la prima volta ne ho avuto molta paura mi sono detto non lo potrò  mai fare. [Giuseppe] è proprio diverso da me ma diverso in tutto nel pensiero, nella parola, nella lingua, nella postura. E io oggi se mi dovessi riveder  non mi riconoscerei e mi giudicherei credo, perché anche io mi ci abbandono.

Parliamo un po della bisessualità del tuo personaggio...

E.S. Io la chiamerei una omosessualità omertosa.
Mi sono posto mille domande sul personaggio mio. Dopo di che le ho abbandonate... Non mi sono voluto dare nessuna risposta.
Ma visto che me lo chiedi mi costringi a farlo adesso.
La prima domanda è: ma Giuseppe con sua moglie c'è mai stato? Non hanno figli infatti... Come la tratta? La tratta bene? Lei sa tutto e fa finta di niente? 

Credo che Giuseppe con questo matrimonio protegga solamente la sua reputazione che era andata in frantumi nell'adolescenza, quando aveva subito la sua violenza sessuale, e allora doveva mantenere questo scettro di potere mascolino, perché il padre non c'era, aveva solo una sorella e altri sei cugini che stavano prendendo il potere.

Giuseppe da piccolo lupo ha ucciso il capobranco, ma invece di prendere lo scettro è fuggito via. Fuggire via voleva dire ricrearsi una vita e ricreare significava non avere più la tendenza [omoerotica] perché siccome ha subito una violenza, un castigo per aver guardato [desiderato] un altro uomo, la paura si è amplificata. Giuseppe non avrebbe mai più potuto guardare un uomo pubblicamente e quindi aveva bisogno di crearsi una vita parallela, ma dentro di sé quel bisogno, quell'istinto, era sempre vivo. Ecco perché la chiamo una omosessualità omertosa e non una bisessualità. lui non aveva il piacere di stare con una donna almeno credo, naturalmente. Aveva il piacere di stare con un uomo.
La bisessualità certamente esiste ma in un'altra circostanza, non in questa.

Non a caso la prima volta che Giuseppe si concede al sentimento viene
stroncato. Anzi stronca il personaggio di Giovanni...


E.S. E la cosa che sottolineerei è l'ideologia cui si allinea anche Giuseppe e cioè che il maschio attivo che è Giuseppe nonostante lui sia stato con tutti i ragazzi che gli sono capitati rispetto il maschio passivo che è Giovanni pensa che il maschio attivo non possa essere malato. Ecco perché Giuseppe è convinto che è stato Giovanni  a contagiarlo...

Giuseppe credo che sia fondamentalmente una persona irrisolta e non a caso la sua storia rimane irrisolta. Non sappiamo che cosa gli succederà e non vogliamo  nemmeno saperlo. Rosaria e Giovanni forse moriranno mentre di Giuseppe non sappiamo nulla.

L'assenza della figura paterna aleggia un po' in tutti i personaggi.
Rappresenta una denuncia, una tua constatazione sulla nostra società oppure è solamente una esigenza narrativa?


J..A. A una lettura a posteriori mi rendo conto di questa cosa che mi fai notare. Quando stavo scrivendo non me ne sono reso conto adesso me rendo cono anche io. Si è trattato evidentemente di una cosa istintiva non calcolata se vogliamo e quindi mi interrogo anche io su cosa ci sia dietro questa cosa...

F.C.T. Credo che quando Joele ha scritto il testo si sia riferito ad alcuni elementi che fanno parte della nostra cultura parlo come siciliani in questo momento. Ci sono degli archetipi che tu hai interni riguardo alla tua cultura e alle tue radici e dei quali alle volte nemmeno ti rendi conto di stare ancora elaborando. Da noi, per esempio, il fatto di non avere una figura paterna ti cambia completamente la vita.

Da noi c'è uno stacco enorme tra chi ha un padre e chi non ce l'ha. Per una ragazza come può essere Rosaria, io ne ho viste tante, non avere una figura paterna significa...

E. S. ...non avere futuro

F.C.T: ...stare allerta tutta la vita! Non hai un attimo di relax. Questo è molto siciliano perché la tua reputazione è sempre lì lì per cadere. Per un uomo non avere una figura paterna significa doverla assumere lui, avere una mole di responsabilità enorme che Giovanni non ha potuto prendere e che invece Giuseppe ha saputo prendere a modo suo.

J.A. Io credo che il padre sia un po' la terra nostra di Sicilia ed è propri come dice Federica costituisce proprio la restituzione di una serie di archetipi profondamente siciliani. Se una risposta c'è adesso mi viene questa.
Che forse il padre mancante è proprio la nostra terra. Sembra scontato per noi
che siamo siciliani ma non lo è.

E' profondamente insito in noi questo imperativo che ci costringe a dovercela cavare da soli. La figura paterna è quella cosa che ti garantisce una sicurezza - e ti ripeto non è una cosa cui avevo pensato prima ma la sto elaborando adesso che mi ci fai pensare - però la riconosco come una cosa che c'è dentro quest'opera e dunque dentro il mio pensiero.

Nella posizione supina delle donne nei confronti del sopruso maschile,
penso alla madre e alla sorella di Giuseppe,  che il tuo testo sottolinea
ci ho letto un'ineluttabilità squisitamente verghiana di un orizzonte culturale
dal quale non si può uscire mai.


J.A: Sì hai ragione. Questa cosa c'è perché secondo me è vera. Però ho cercato di dare anche una chiave positiva con il personaggio di Rosaria.
Anche questa subalternità è una cosa profondamente siciliana, e il mio tentativo di
riscattare questa passività a un livello etico c'è e l'ho messa nelle mani del  personaggio di Rosaria che invece ha davvero la possibilità di riscattarsi. Lei
che è l'unico personaggio  dei tre che potrebbe andarsene e partire e rifarsi una vita...

Una possibilità per la quale Rosaria viene stuprata in una scena senza
dialoghi dove tutto è espresso col linguaggio del corpo e dove tu Federica sei davvero brava nello scandire il passaggio nella scena: prima una autoaffermazione tramite la propria sessualità, pudica e impacciata e anche un
po' ingenua, nel sentirsi corteggiata da un ragazzo, corteggiamento che si
trasforma in uno stupro perché la sua disponibilità viene letta e giudicata
come qualcosa di diverso che "autorizza" lo stupro.


E.S. Non ti dimenticare l'assenza del padre di Rosaria. Se i ragazzi la stuprano è anche perché li non ha nessuno l'unica figura maschile è Giovanni che non è maschio.

F.C.T. Su questo punto io vorrei fare una riflessione. Per me è stato difficile immaginare e capire questa scena anche perché, non essendo una scena parlata, Joele di proposito non l'ha scritta. Joele me mi ha chiesto di immaginarla io a partire da un gioco di seduzione che porta allo stupro...

Credo che lo stupro segni il momento in cui Rosaria passa dal progetto di prendere il traghetto e andare in Italia come sogno di realizzazione e cambiamento di vita all'idea del traghetto come mezzo per darsi la morte o liberazione che sia.

Credo che oltre alla malattia di Giovanni sia questo stupro ad averla motivata in questo senso perché, che tu abbia un padre oppure no, non è una cosa che superi come nulla fosse. Ti segna la vita per sempre.  Per me l'uscita di Rosaria con questo ragazzo, Angelo, che poi invece ha fatto venire altri quattro suoi amici per stuprarla, è stata l'ultima occasione che lei si è data per cercare in un maschio quella figura paterna che non aveva mai avuto.

E.S. Secondo me la decisione finale di Rosaria è una decisione egoista. Perché
si scontra con la vitalità e il disinteresse di Giovanni per la sua malattia e per la sua omosessualità. Giovanni non ha pensieri di morte come Rosaria.

J.A. La decisione di Rosaria è anche una forma estrema di autodeterminazione
anche se in senso negativo.

E' interessante vedere come anche tra di voi interpreti ci siano letture
diverse sul comportamento dei personaggi.
Anche questo credo  è un segno che il testo funziona veramente e che i
personaggi esistono al di là del contributo dei loro interpreti
.

J.A. Io credo che Rosaria dia Giovanni per morto quando ha saputo che è malato.

E.S. Io mi sono chiesto infatti se il mio personaggio lo avrebbe davvero ammazzato a Giovanni. Me lo chiedo proprio perché la sua fine è indeterminata.

Io credo che Giuseppe anche se chiede a Giovanni di scendere non credo che alla fine lo avrebbe ammazzato. Anzi credo che Giuseppe lo avrebbe abbracciato e forse sarebbero scappati insieme per ricominciare. 
D'altronde Giuseppe era già scappato 15 anni prima figurati che ci vuole a farlo ancora.
Dietro quell'urlo non c'è solo rabbia ma c'è anche un bisogno di conforto, vieni qua soffriamo insieme.

Io penso che Rosaria sia egoista perché è come se rubasse Giovanni a Giuseppe.

E' chiaro anche che Rosaria ha bisogno della forza di Giovanni per portare in atto il loro suicidio. Ha bisogno della sua forza. Devono fare quella cosa insieme  perché da sola sa di non potercela fare. Tanto tutti e due abbiamo un dramma - si dice - e non ha più senso vivere. Ma non lascia scegliere lui però.

Io credo che la reazione di Rosaria dipenda anche dal fatto che Giovanni rimane incosciente a se stesso anche dopo aver scoperto la malattia e Rosaria è come se lo voglia scuotere. Non so almeno questa è la mia impressione, magari è una mia proiezione sul suo personaggio...

J.A. Però l'essenza stessa di Giovanni è proprio in tutta quella sua innocenza...

..Infatti 

J.A. Giovanni non vuole rientrare dentro delle logiche fondamentalmente comuni e rimane in quel mondo speciale che giustamente viene letto in maniera strana dall'esterno ma che è pacificato all'interno e quindi vuol dire che quella è la sua vera forma di esistenza e va bene così.

La sieropositività di Giovanni che diventa subito aids conclamato...

E.S. E' un'esigenza teatrale...

J.A. E' una delle possibilità. Io lo dico sempre. Questa è una storia particolare non voglio che sia letta come storia esemplare.  Non pretendo certo che il mio testo sia un manuale di come s viv in Sicilia o cosa significhi essere sieropositivi.

Questo lo preciso spesso perché mi rendo conto che è un punto delicato del testo e che potrebbe anche essere interpretato in maniera negativa. No in questa storia c'è questa evoluzione che è molto particolare e per niente tipica.
 
Anche in questo io ci leggo l'ineluttabilità verghiana del un destino...

J.A. Diciamo che la malattia di Giovanni è un elemento drammaturgico che mi serve come contrappeso per la sua leggerezza una leggerezza che è comunque un messaggio di speranza fino alla fine.

F.C.T. nonostante la decisione dolorosa di farla finita Rosaria dopo ave descritto come pensa di potare a termine il suo intento afferma di volere giocare.

Questo perché nella società siciliana una ragazza senza padre e con un cugino frocio ha finito di esistere.
Se poi diventi una bella ragazza è ancor peggio allora a un certo punto lei proprio nel momento in cui si sente chiamata a prendere una decisione più grande di lei attraverso il desiderio di giocare è come se esprimesse la necessità di avere qualcuno che le dicesse cosa fare.

Qui si ritorna alla mancanza del padre. E' quella la matrice. Anche Giuseppe l'ha dovuta subire a modo suo. Infatti non sa come reagire...

E.S: ... infatti secondo me  Giuseppe ammazza suo cugino perché ha avuto l'esempio di suo padre che aveva ammazzato il fratello.

Infatti il testo funziona tramite questi archetipi universali che non permetto di esprimere nessun dubbio né la minima sbavatura di senso dimostra come anche se Giuseppe è vittima de patriarcato si comporta...

E.S. ...esattamente come il patriarcato.

...e questa purtroppo è una delle poche verità sociologiche davvero acquisite, non della Sicilia, ma universali: l'essere vittima di certi meccanismi...

E.S. ...te li innesca mentalmente...

...non te ne rende immune se tu non fai un tuo percorso di
smarcamento....


Ora la tournée vi porta a Napoli, dopo sarete nuovamente a Roma e poi
dove andate?


E.S. A Catania, di nuovo, Ci hanno proprio chiamato loro e questa è una bella cosa...

J.A. ...e poi stiamo lavorando al nuovo testo Battuage che debutterà a maggio al Teatro dell'Orologio di Roma.


Io, mai niente con nessuno avevo fatto sarà a Roma al Teatro Spazio Uno - dal 22 Ottobre al 03 Novembre 2013

Altre tappe della tourneé lo porteranno poi a

Catania, zo centro culture contemporanee - altrescene  il 10/11 novembre 2013

Caserta, officina teatro - 22 / 23  febbraio 2014
 
Napoli, teatro elicantropo - 20 / 23 marzo 2014

Mola di Bari, teatro westerhout - 29 marzo 2014

New york, Fringe festival - agosto 2014


* Vincitore del concorso “I monologhi dell’Ambra” - Teatro Ambra alla Garbatella di Roma

Secondo classificato al concorso "Autori nel Cassetto, Attori sul Comò" - Teatro Lo Spazio di Roma

Finalista al "Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro" - Udine

Terzo Classificato al “Festival Potenza Teatro – Teatro F. Stabile Potenza”